Una delle attività che ha riguardato il mio anno di
Servizio Civile presso la Pro Loco Cartoceto è stata la ricerca di
riferimenti storici – diretti e indiretti – al nostro paese,
rivolgendo particolare attenzione ad opere e documenti antecedenti il
XIX secolo. Nel corso di questa indagine, oltre ad individuare due
commedie teatrali scritte da un cartocetano nel XVII secolo (e di cui
si parlerà in future pubblicazioni), mi sono imbattuto nella curiosa
citazione di Cartoceto in riferimento a quello che potremmo definire
un “fatto di cronaca popolare”, forse avvenuto tra la fine del
XVI e l'inizio del XVII secolo.
Questa lontana vicenda viene narrata nel “Trattato
dei bianti ovver pitocchi, e vababondi, col modo d'imparare la lingua
furbesca”, libro d'autore non chiaro edito “co' Caratteri
di F. Didot” nel 1828.
Dopo un'ulteriore ricerca, il libro del 1828 è
risultato essere la ristampa di un originale pubblicato a Venezia nel
1646, “Il vagabondo overo sferza de bianti, e vagabondi”,
opera di un certo Rafaele Frianoro. Il libro del 1828 include poi,
come seconda parte del volume, un vocabolario di gergo tratto da
un'altra opera (“Nuovo modo da intendere la lingua zerga cioè
parlar furbesco”), data in stampa “in Firenze alle Scalee
di Badia” nel 1619. Pare essere uno dei più antichi repertori
sul linguaggio della malavita in Italia.
Al capitolo XVIII della prima parte del libro, l'autore
cerca di mettere in guardia i suoi contemporanei dai “cocchini”,
una delle tante tipologie in cui, nel volume, vengono suddivisi
ciarlatani e vagabondi; e lo fa narrando una vicenda che vede come
ambientazione proprio il nostro paese, Cartoceto.
Non è ovviamente possibile appurare la veridicità o
meno dell'episodio narrato: fin da subito però ho trovato singolare
che Cartoceto fosse indicata con tale precisione, per una storia che
l'autore avrebbe potuto ambientare in centri più grandi e famosi
come Fano, Fossombrone, Pesaro o Urbino.
Qualunque sia la verità, ecco qui le parole con cui
viene raccontata la leggenda di Fighino:
CAPITOLO XVIII
DE' COCCHINI
“Questi dallo scuoter le memba al tempo
dell'inverno, dallo strider de' denti, per mostrar d'aver concepito
gran freddo dentro l'ossa, e dal suono che fanno con la bocca, son
detti Cocchini. Quasi anco, a guisa di pezzenti, dicono amare
sommamente la nudità e la penuria per amor di Dio, essendo ciò
falso, perché amano più il denaro e la robba.
Certo
Fighino comparve in un luogo non troppo discosto da Fano, detto
Carticeto, ove sapendo che un certo Pietro Antonio, figliuolo d'un
notajo, era uscito di casa sua circa tre anni, ed in detto tempo non
si era saputo nuova di lui, trovò il padre, dandoli nuova della
salute del figliuolo; del quale diceva, che per la sua fortezza e
valor mostrato in un pericoloso combattimento, in cui vinse
gl'inimici, era stato fatto dal re Ferdinando capitano e cavalier del
Speron d'oro, e che egli era suo servitore.
Sentendo
il padre questa buona nuova, lo introdusse in casa, ove salutato la
madre e le sorelle diede anche a loro buone nuove del figliuolo;
aggiungendo, che aveva in guerra raccolto molte spoglie e fatto gran
preda, onde era divenuto ricco. E che avendo fatto voto, mentre
combatteva di visitare, o fer visitare la chiesa di s. Antonio1,
aveva mandato esso Cocchino suo fedelissimo servitore a soddisfarlo,
portando un dono alla chiesa d'esso Santo in suo nome; con portar
anche lettere al padre ed a' parenti delle sue felicità: ma che per
la strada era stato dagli assassini spogliato d'ogni cosa, ed appena
avea salvato la vita; nondimeno così come si trovava, voleva andare
a soddisfarlo.
Al
sentir delle buone nuove dette dal furbo, si rallegrarono tutti, e
ringraziando Iddio della buona fortuna del figliuolo, preparorno al
finto servitore Cocchino una buona cena. Convennero fra tanto i
generi, cognati, zii ed altri parenti di Pietro Antonio e del padre,
per intendere le buone nuove, quali furono dette e confermate dal
Cocchino; aggiungendo sempre cose da lui prima ben pensate e
meditate, acciò tanto meglio la carota si radicasse. Le donne,
compassionevoli di vedere il servitore del lor figliulo così male in
arnese per amor suo, li diedero alcune camicie, il padre gli donò un
vestito, e gli altri portoron chi calzoni, chi calzette, chi scarpe,
chi berretta; il padre della madre di Pietro Antonio li diede un
ferraiolo, del quale per essere egli vecchissimo ne aveva necessità,
non che bisogno.
E
così ben vestito e ben trattato per un giorno e per una notte, in
premio delle dette bugie, si partì, promettendo soddisfatto il voto
ripassar di lì per le lettere: ma partendo di lì, il vento lo
trasportò tanto discosto, che non fu più visto.
Non
passarno troppi giorni, che Pietro Antonio tanto predicato dal
Cocchino tornò a Carticeto, povero, ignudo, mezzo infermo, consumato
dalle fatiche de' viaggi, e tutto distratto per la fame, dicendo che
seco non aveva portato altro che miserie e povertà. Or pensa come
restò il povero padre addolorato con tutti di casa, vedendo esser
stati burlati da quel furbacchiotto del Cocchino, a cui aveva con li
parenti dato tanti vestimenti, che al povero figliuolo sariano stati
opportuni in quell'istante.
Di queste simili burle se ne fanno ogni dì, massime
con lettere false portate a gente ignorante, che non sapendo più che
tanto, danno della robba senza sapere a chi, né perché: però
aprite gli occhi, altrimenti li Cocchini ve l'accoccheranno”.
Andrea Contenti
1Forse
qui s'intende la Chiesa di Sant'Antonio Abate a Fano; in passato, il
culto del santo era molto diffuso e sentito anche a Cartoceto, con
tanto di processione nel periodo pasquale.
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