“L'ho visto scolpire, in un giorno di pioggia, nel
chiostro del Convento, incurante del maltempo, avvolto in un mantello
impermeabile. Dava di scalpello con un vigore giovanile che esprimeva
tutta la sua interiorità”.
(Rodolfo Colarizi)
Negli ultimi mesi si è reso attivo un comitato,
all'interno della Pro Loco, intenzionato ad allestire nel breve
periodo una grande mostra artistica interamente dedicata al lavoro
dello scomparso Padre Stefano Pigini, il frate-scultore (ma non solo)
che ha vissuto e lavorato presso il Convento di Santa Maria del
Soccorso e che a Cartoceto ha dedicato numerose sue opere, sia
pubbliche che private. Se al Teatro del Trionfo è stata allestita
una mostra permanente dedicata al grande fotografo scomparso Mario
Dondero (che a Cartoceto transitò per alcune settimane all'inizio
del nuovo millennio), sembra doveroso organizzare un'esposizione
dedicata ad un grande artista quale lo è stato Stefano Pigini, che a
Cartoceto ha donato così tanti anni della sua vita.
Non solo uno scultore, dicevamo. Il Pigini infatti,
oltre alla scultura, si è dedicato ed espresso anche attraverso la
pittura e l'architettura, con interessanti progetti e produzioni
uniche.
Stefano Pigini, non ancora “Padre”, nacque il 24
aprile 1919 nella frazione Crocette di Castelfidardo.
Terminati gli studi classici e teologici che lo
condussero al sacerdozio, cominciò da subito a manifestare un vivo
ed acceso interesse per le arti figurative. Nel 1946 s'iscrisse alla
scuola di ceramica di Pesaro, per frequentare poi l'Accademia di
Roma. Tra il 1953 ed il 1954 frequentò assiduamente, sempre a Roma,
lo studio del professor Alessandro Monteleone, nella celebre Via
Margutta 33; contemporaneamente, studiava anche all'Accademia di
Spagna1.
Si trasferì poi a Bologna, per applicarsi due anni allo studio
libero del nudo presso l'Accademia di Belle Arti: per la tecnica
dell'affresco, Stefano Pigini fu allievo del professor Romagnoli e
nel 1965 frequentò per un anno lo studio dell'architetto Cotti. Da
artista poliedrico, si dedicò (oltre che alla scultura), pure alla
pittura, interessandosi attivamente anche di architettura.
Disse il Pigini, parlando di sé:
“Mi sono mosso come autodidatta partendo dalla
imitazione dei classici (1940-1953). Sotto la guida del mio maestro
Monteleone, mi sono formato al neorealismo (1953-1960). In seguito mi
sono recuperato per istinto verso i primitivi (il romanico in specie)
tenendo d'occhio tutte le grandi correnti dell'arte contemporanea
(1960-1970). Ho riservato particolare attenzione all'arte degli
Aztechi, Maya ed Inca, nel tentativo di realizzare una scultura
incarnata nella storia, sintesi di espressività ed essenzialità”.
Il 23 aprile 2002, con deliberazione consiliare n. 40,
la città di Castelfidardo riconobbe all'illustre nativo la
cittadinanza onoraria per i suoi meriti artistici, consegnandogli il
“Sigillo d'oro”. La cerimonia si svolse, in forma solenne, il 14
maggio di quello stesso anno, in occasione della locale Festa dei
Santi Patroni Vittore e Corona.
Paolo Bugiolacchi, giornalista, pittore, storico e
scrittore fidardense scomparso nel 2009, dedicò queste parole al
Pigini: “Nonostante l'avanzata età e qualche acciacco di
troppo, Padre Stefano è ancora nella pienezza della lucidità
mentale e soprattutto in pieno vigore creativo e, proprio nel
Convento di Cartoceto, nel quale vive e lavora da tanti anni, plasma
ancora la materia informe, che dalle sue mani riceve vita e vigore
per testimoniare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, tutta la sua
maestria e vitalità, temprata da un'esperienza lunga e da una Fede
profonda.
Un'esistenza,
come suole dire lui stesso, nata dalla terra, cresciuta nella
povertà, nella disciplina e repressa nella sua istintività ed
emotività. Caratteri che si riflettono nella sua attività
artistica: un'attività di contrasti, domata, strappata al tempo e
agli uomini giorno dopo giorno. Non per caso nelle sue opere sono
totalmente assenti espressioni di gioia o di sorriso, ed è invece
nella durezza, nella spigolosità di come è trattata e aggredita la
materia, che si riflette tutta l'interiorità dell'artista, senza
tenerezze e senza pietà.
È
questo tipo di esistenza che gli ha fatto prediligere ciò che sa di
antico, di arcaico e di primitivo, il desiderio cioè di risalire
alle origini più lontane e in esse scoprire l'io autentico.
Ecco ciò che pure il visitatore meno preparato può
cogliere: la bellezza della materia plasmata e il senso profondo di
una vita intensamente vissuta nella Fede e nell'Arte”.
Tantissime sono ad oggi le sue opere, sparse per tutto
il mondo in collezioni pubbliche e private. Tra quelle esposte
all'estero, ricordiamo:
- Una Annunciazione in marmo, presso la Cappella dell'Universidad Católica de Santo Tomás de Villanueva, a L'Avana, Cuba (chiusa nel 1961).
- Una Via Crucis a Nimega, nei Paesi Bassi.
Tra i numerosi suoi lavori in l'Italia, citiamo:
- una “Tomba Brusi” a Pesaro;
- due cantorie ed il grandioso portone in bronzo per la Chiesa di Santa Rita, a Milano;
- i bassorilievi nella cripta della Basilica di San Nicola, a Tolentino;
- un bassorilievo all'Augustinianum di Roma;
- due amboni in bronzo ad Amandola, in Provincia di Fermo;
- una Madonna in gesso presso il Centro Trasfusionale dell'Ospedale “Santa Croce” di Fano;
- un monumento al Beato Sante, a Mombaroccio;
Altrettanto numerosi sono le opere di Pigini che oggi
adornano le vie, le strade, le chiese ed i palazzi del suo comune
natale, Castelfidardo. Ricordiamo:
- una effige bronzea del vescovo Francesco Mazzieri, missionario in Africa, nel sagrato della Chiesa delle Crocette, a Castelfidardo;
- busto bronzeo della Beata Suor Enrichetta Dominici, sulla facciata del palazzo dell'Istituto delle Suore di Sant'Anna, a Castelfidardo;
- effige di don Paolo Pigini, storico locale, in una sala della biblioteca comunale fidardense;
- busto del commendatore Paolo Soprani, fondatore dell'industria italiana delle fisarmoniche, all'ingresso del Museo Internazionale della Fisarmonica a Castelfidardo; sempre nel museo è sito un “Totem della Fisarmonica”, altra opera piginiana, simbolo della genialità e industriosità castellana;
- bassorilievo della Madonna della Consolazione sulla facciata della Chiesa della Figuretta, e pala d'altare all'interno della stessa;
Ed ecco alcune delle opere del Pigini presenti a
Cartoceto:
- la Fontana dell'Olio, lungo via Marcolini;
- statue e bassorilievi all'esterno ed all'interno del Convento di Santa Maria del Soccorso;
- l'altare e l'ambone della Chiesa Collegiata di Santa Maria della Misericordia, a cui lavorò con l'allievo Giovanni Galiardi, nonché il busto del cardinale Girolamo Rusticucci, posto dinnanzi alla casa parrocchiale;
- l'altare della Chiesa di Sant'Apollinare a Lucrezia;
- numerose sue opere sono visibili presso collezioni private locali, ad esempio al Frantoio della Rocca di Vittorio Beltrami o nella raccolta in possesso di Domenico Bianchini.
Stefano Pigini fu anche architetto e in quest'ambito
curò la trasformazione della volta ed il presbiterio della Chiesa di
Sant'Agostino a Pesaro, l'abside della Chiesa di Santa Maria delle
Grazie, sempre a Pesaro, il presbiterio della Chiesa del Beato
Antonio ad Amandola e il sistema della Chiesa di Santa Rita, a
Bologna.
Sul fronte della sua attività pittorica, molte opere si
trovano in chiese e collezioni italiane ed estere:
- un mosaico all'Augustinianum, Roma;
- la grande vetrata della Chiesa di Santa Rita, a Roma.
Nel gennaio del 2002, a coronamento della sua
affascinante e lunga attività creativa, due significative opere
andarono ad arricchire la prestigiosa raccolta di Palazzo Ricci a
Macerata, considerata unanimemente una delle più ricche collezioni
d'arte moderna dell'Italia centrale. Scrisse, in tale occasione,
Lucio del Gobbo: “Prevalente, nell'opera di Padre Stefano, è la
produzione scultorea ed in particolare quella di soggetto sacro, ma
non mancano opere di poetica profana, come ritratti e bronzetti di
vario genere, che egli predilige ritenendoli parte della sua
espressione più fresca e contemporanea”.
Il 4 aprile dello stesso anno, P. Stefano Pigini
festeggiò il suo 60° anno di sacerdozio, ricordato con una
celebrazione eucaristica presso il cappellone della Basilica di San
Nicola, a Tolentino, ove parteciparono molti suoi confratelli,
familiari ed amici. Per l'occasione, don Lamberto Pigini narrò
commosso i fatti della loro infanzia comune in una grande famiglia
patriarcale, che nella fede vissuta trovava la forza per l'educazione
dei figli e le soluzioni ai problemi quotidiani della vita.
Padre Stefano Pigini, nato in una frazione, sia nei suoi
lavori di scultura e pittura che nelle sue poesie, ha ricordato
spesso le sue origini castellane e contadine. È scomparso il 3
ottobre 2006, all'età di 87 anni.
La morte di Pigini può essere considerata, a tutti gli
effetti, la fine di un'era storica anche per Cartoceto. Essa fu del
resto quasi un presagio dell'ormai prossima fine della stessa
comunità agostiniana di Santa Maria del Soccorso, soppressa nel 2013
dopo 513 anni; con la loro scomparsa, e l'arrivo delle monache di
clausura Adoratrici del Santissimo Sacramento, Cartoceto ha
sostanzialmente perso i suoi legami col Convento e la Chiesa di Santa
Maria del Soccorso, che ormai paiono vivere appartati e distanti,
tristemente separati e distinti dal resto del paese e della comunità.
Proseguiremo l'analisi dell'artista con articoli
dedidati nei futuri numeri dei Quaderni di Cartoceto.
In conclusione, presentiamo ora, nelle pagine a seguire,
alcuni dei versi scritti da Stefano Pigini.
Andrea Contenti
1Sita
nel chiostro dell'ex-monastero di San Pietro in Montorio al
Gianicolo, l'Accademia di Spagna è un'istituzione culturale alle
dipendenze della Direzione Generale delle Relazioni Culturali e
Scientifiche del Ministero degli Affari Esterni spagnolo.
La mia casa natale
Sole della sera
che riscaldi la mia
vecchia casa
sepolta tra le querce.
Sole di Settembre
che accarezzi
le sue pietre ingiallite,
come vecchie pergamene,
dove sono scritte
le gioie e le lacrime
della gente della terra:
mia prima pagina.
Ampio balcone
allietato da gerani,
dove il colono scruta il cielo
così incerto ed infido.
Piccola finestra
di quella fredda stanza,
che mi vide nascere
che accolse le prime lacrime
della mia triste infanzia.
Ora tutto è diverso per me.
Ma tu sei sempre lì,
ad accogliere
altra povera gente,
per scrivere sulle tue pietre
altre gioie, altre lacrime.
Vecchia casa colonica
illuminata dal sole del tramonto
quanta dignità
nella tua estrema semplicità.
Castello oggi
Castello mio:
non vedo più
le querce di Magi,
gli ulivi di “Freddo”,
le ginestre delle Fornaci,
i rovi e le acacie della Figuretta,
le timide case coloniche.
Hai tracimato le mura,
hai forzato le porte.
Le nuove case e le fabbriche
si spandono per i colli,
scendono a valle
come branchi di mucche al pascolo.
Le tue ripide strade,
una volta bianche e polverose,
scandite dal cigolio dei carrettieri,
ora sono diventate
enormi bisce nere
percorse da frenetici
insetti metallici.
Da ogni casa
escono suoni,
accordi musicali,
stropiccio di lime,
stridori di seghe,
sibili di frese,
odori di colle e di resine:
la santa liturgia del lavoro.
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