Nella sacrestia della Chiesa del Santissimo Sacramento di Saltara è possibile ammirare un affresco molto interessante, ossia una Madonna delle Grazie, o Madonna in trono col Bambino, il quale risulta iconograficamente simile ad un altro affresco presente nel nostro territorio, ossia la Madonna delle Grazie di Cartoceto, conservato presso l'omonimo santuario costruito nel 1887 ai lati della Chiesa Collegiata di Santa Maria della Misericordia.
In questo breve articolo forniremo alcune informazioni e dettagli interessanti sulle due opere, entrambe facenti parte della tipica iconografia dedicata al culto della Madonna delle Grazie.
La Madonna delle Grazie di Saltara
La Madonna delle Grazie di Saltara viene convenzionalmente attribuita a Giovanni Antonio Bellinzoni da Pesaro (1415-1477), protagonista del tardo gotico marchigiano, ed è probabilmente coeva all'affresco raffigurante la Madonna della Misericordia, ammirabile nella cappella di sinistra della medesima chiesa ed attribuita allo stesso artista; entrambe le opere sono databili al 1470 circa, quindi agli ultimi anni di vita dell'autore. Il Bellinzoni operò ripetutamente a Saltara, come dimostrano gli affreschi nella Chiesa di San Francesco in Rovereto, dove l'artista lavorò in età giovanile (circa 1436) assieme al padre Giliolo.
L'opera è caratterizzata da colori accesi: da notare in particolare il vivace accostamento tra il vestito rosso della Madonna e lo sfondo turchese, delimitati da profonde e sinuose linee di contorno. Pur non presentando uno studio accurato e scientifico della prospettiva, il Bellinzoni tentò lo stesso di conferire una certa profondità al dipinto nella struttura del trono.
L'edificio in cui fu eseguita l'opera, la Chiesa del SS. Sacramento, è popolarmente nota anche col nome di Madonna della Fonte (come indicato da una lapide in marmo posta all'interno della chiesa stessa), Chiesa di Santa Maria della Fonte e Chiesa del Soccorso, perché costruita in prossimità di una sorgente d'acqua: l'affresco in questione è sito proprio al di sopra dell'antica fonte. Da ciò è possibile intuire l'esistenza di una importante correlazione storica fra l'opera del Bellinzoni e la fonte d'acqua che ivi localizzata, una sorgente che rivestiva un ruolo vitale per gli abitanti del castello saltarese (un fenomeno, quello delle fonti acquifere legate ad un culto religioso, d'origine pre-cristiana e attestato anche a Cartoceto, così come in altre zone).
La Madonna delle Grazie di Cartoceto
La Madonna delle Grazie di Cartoceto risulta di attribuzione molto incerta, e le sue origini rimangono alquanto oscure. Prima di essere trasferita nella sua attuale collocazione, l'affresco era situato in un'edicola quadrata di m. 2,70 di lato, posta esattamente dove oggi sorge il Monumento ai Caduti (all'incrocio delle strade che da Cartoceto conducono a Saltara e Lucrezia). L'edicola, o tempietto, del quale oggi purtroppo non rimane alcuna traccia o reperto, doveva essere piuttosto antica. L'affresco della Madonna delle Grazie occupava la parete di fondo, di m. 1,70 d'altezza e m. 1,05 di larghezza e fu realizzato nel corso del XV secolo, probabilmente da un lontano seguace dell'artista Antonio Alberti da Ferrara.
Nell'immagine, la Madonna – indossante una veste purpurea coperta d'un velo e d'un manto bianco, con lo sguardo rivolto verso destra – è seduta di prospetto su un trono architettonico in stile gotico mentre sorregge sul ginocchio sinistro il Bambino, paffutello e in una verde tunica, che a sua volte sostiene una croce, volgendo lo sguardo verso sinistra. Due angeli sorreggono un drappo rosso dietro al trono, che spicca sullo sfondo azzurro.
Sull'affresco circolano spesso informazioni errate o inesatte, in particolar modo sulla datazione, sovente indicata come tardo Trecento. Il problema è che Antonio Alberti da Ferrara fu operante tra il 1423 ed il 1439, dunque verso la metà del XV secolo, e non nel Trecento. Ad ogni modo, l'affresco cartocetano è senz'altro quattrocentesco e riferibile alla suddetta scuola dell'Alberti; pare inoltre che esso fu poi rimaneggiato nel corso del Cinquecento.
Per quanto riguarda i miracoli associati al santuario cartocetano, trattasi di una fenomenologia di devozione popolare diffusissima in relazione a questo tipo di iconografia. In Italia possiamo trovarne un'infinità di esempi, ma tra quelli vicini alle nostre zone possiamo citare il caso dell'affresco della Madonna delle Grazie di Pennabilli, in Alta Valmarecchia, coeva all'affresco di Cartoceto e similmente attribuita alla scuola di Antonio Alberti da Ferrara. È presumibile che il diffondersi delle voci legate ad un particolare evento, ritenuto miracoloso, in qualche luogo ed in relazione a questo tipo di iconografia, abbia favorito la sua diffusione di paese in paese, di città in città. Da qui l'aumento nella richiesta di artisti a cui commissionare tali opere, creando opportunità di lavoro per i tanti giovani allievi che uscivano dalle botteghe dei loro maestri.
I supposti avvenimenti prodigiosi associati all'affresco cartocetano sono in realtà piuttosto recenti, e si riferiscono alla presunta miracolosa guarigione di Maria Serafini (1865-1902), sposa del conte Francesco Marcolini (1864-1945), figlio terzogenito del più noto Camillo Marcolini. Nel 1884 la donna, gravemente malata, sarebbe guarita inspiegabilmente a seguito di ablazioni fatte all'immagine sacra posta nell'edicola in questione (situata, curiosamente, su di un terreno di proprietà proprio della famiglia Marcolini). A seguito di altri presunti miracoli, la fama e la devozione all'immagine sacra si diffusero e per questo, nel 1887, fu collocata nel santuario appositamente costruito nella Chiesa Collegiata di Santa Maria della Misericordia, ove si trova ancora oggi.
Questo breve articolo vuole essere una proposta di studio, uno spunto di ricerca che possa ispirare nuove indagini – da parte di personale competente – su questi due mirabili affreschi quattrocenteschi, con l'augurio di poter tutelare, promuovere e valorizzare la conoscenza fra il pubblico di queste preziose manifestazioni artistiche che abbelliscono il nostro territorio ed il nostro retaggio storico-culturale.
Andrea Contenti
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