mercoledì 1 febbraio 2023

L'epigrafe romana della Pieve

L'epigrafe, rinvenuta nei pressi della Pieve dei Santi Pietro e Paolo nel XVI secolo, è un'importante testimonianza sull'antico popolamento della bassa valle del Metauro. L'originale, visibile nella fotografia riportata qui sotto, è attualmente conservato presso il Museo Lapidario al Palazzo Ducale di Urbino.




Trattasi di una lastra rettangolare caratterizzata da una faccia incisa, entro una cornice sagomata, riportante la seguente iscrizione commemorativa in lingua latina:

L(VCIVS) RASIVS L(VCII) L(IBERTVS)
POLYBIVS POR/TICVM DEDICA/VIT
X K(ALENDAS) IVN(IAS)/
L(VCIO) MAMMIO POLLIONE/
Q(VINTO) ALLIO MAXIMO CO(N)S(VLIBVS)

Il testo si sviluppa su sei linee, impostate secondo l'asse mediano. Le lettere sono tracciate in modo regolare (altezza cm 2.2-3.8). Le dimensioni della stele sono cm 37.8 x 45 x 7. E' impiegata interpunzione a triangoletto, semplice o caudato verso il basso. Il numero di inventario 41074 è riportato sulla scheda cartacea, mentre nella pubblicazione di Gori-Luni è riportato il numero 41076.

L'epigrafe commemorava l'inaugurazione di un portico, eretto forse a Fano il 23 maggio 49 d.C. a cura del liberto Lucius Rasius Polybius. In diverse fonti bibliografiche e pubblicazioni essa viene datata (erroneamente) all'anno 79 a.C.; la datazione corretta è però quella del 49 d.C., deducibile grazie alla citazione contenuta nel testo dei consoli suffetti in carica al tempo della sua realizzazione, ossia Lucius Mammius Pollio e Quintus Allius Maximus, nominati appunto consoli suff. durante il principato di Claudio (Tacito, Annali, XII, 9).

Alcuni storici locali, tra cui il Bellini, hanno sostenuto la tesi che l'epigrafe facesse parte di una struttura, ad esempio un complesso religioso pagano (tempio), presente in antichità sul colle e sopra il quale sarebbe stata poi eretta la primitiva Pieve cristiana. Questa rimane però un'ipotesi altamente speculativa. Dal XVII secolo ad oggi, nonostante i numerosi interventi edilizi e scavi eseguiti presso la Pieve (tra cui la demolizione e ricostruzione della chiesa da parte dei monaci francescani giunti nel 1619, la costruzione e successiva demolizione dell'annesso convento e chiostro, nonché la trasformazione del sito in cimitero comunale dopo l'Unità), non sono mai emersi resti archeologici attribuibili all'ipotizzato tempio pagano.

E' assai più probabile che la lastra fosse originariamente collocata in uno dei centri urbani limitrofi, come Fano o Fossombrone, oppure lungo il tracciato della Flaminia, per poi essere successivamente trasferita nel suo luogo di ritrovamento: ciò avvenne forse durante il periodo tardo antico, quando molti degli abitanti delle suddette città si rifugiarono all'interno della vallata portando con sé materiali estratti dagli edifici in disuso, impiegandoli per la costruzione di abitazioni o di edifici paleocristiani nell'area del suo successivo ritrovamento. Per quanto non si abbiano molte informazioni sul contesto del suo rinvenimento, pare che essa fosse stata usata come copertura di una tomba cristiana.

La data precisa di rinvenimento della stele non è nota: esso avvenne tuttavia prima del 1566, essendo l'iscrizione riportata nella seconda edizione dell'Ortohographie ratio di Aldo Manuzio il Giovane (1547-1597) stampata in quell'anno. L'epigrafe rimase a Cartoceto fino alla metà del XVIII secolo, quando venne trasferita ad Urbino per entrare a far parte del museo costituito nel Palazzo Ducale dal cardinale Giovanni Francesco Stoppani (1695-1774), Presidente della Legazione di Urbino dal 1747 al 1754.

In sostituzione dell'originale, a Cartoceto fu posta una copia che ancora oggi è visibile sul muro esterno della Chiesa della Pieve.